Il trionfo di Mohamed

Ieri sono capitata alla festa di laurea di Mohamed, un ragazzo arabo-israeliano, nato e cresciuto nello stesso paesino di Michelone, il suo connazionale rimasto ucciso dalla casa dello studente il 6 aprile 2009, uno dei suoi migliori amici. Nel bel mezzo dei festeggiamenti – in pieno stile arabo, con musiche e balli – Mumu ha preso per mano la madre e l’ha trascinata in danze folli. La signora rideva e ballava, un po’ forse vergognandosi. Ad un tratto, mentre danzavano, si è commossa ed è scoppiata a piangere, abbracciando forte suo figlio. Ed io ho pensato agli anni che ha passato avendo un figlio – oggi dentista – lontano da casa, in una terra devastata dal terremoto; ai sacrifici fatti perché potesse realizzare il suo sogno, alla volontà di tenerlo lontano da guerre e odio e alla fortuna di averlo ancora lì, con la corona d’alloro sulla testa, la gioia vera, profonda negli occhi e il futuro davanti a sé, nonostante tutto. Ho dovuto tirare in ballo tutto il mio cinismo per non scoppiare a piangere dopo di lei. È stata dura. È stata una delle cose più belle capitate negli ultimi anni, vedere Mumu preso in braccio, in segno di trionfo dai suoi amici.

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Prima settimana nella nuova casa. Immagini e suoni.

Questa è stata la prima settimana nella mia nuova (e ufficialmente prima) casa milanese! Vi lascio qualche foto e video (con consiglio di lettura), che hanno catturato le mie prime impressioni, in questi giorni.

Un grazie particolare va a Livia che mi ha ospitata fino ad ora (facendomi sentire a casa) e chi mi ha aiutata a traslocare (in mezzo pomeriggio, un miracolo!).

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Vicino musicista

La Crisi

“Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere ‘superato’. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza. L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla”.
(da Il mondo come io lo vedo di Albert Eistein)

Are You Happy? La strada della crisi, è la mia strada ed io la percorro con spavalderia e allenamento. (Agnese, La Zarina, io).

E’ già qualche mese che sono sempre meno costante nello scrivere in questo spazio – ma d’altro canto il sottotitolo “Il blog (incostante) di La_Zarina” rende subito evidente la mia tendenza alla divagazione. La verità è che scriverei anche molte più cose, ma nei prossimi tempi vorrò apportare delle modifiche rilevanti alla struttura del blog stesso e al momento mi sto dedicando più all’elaborazione di queste (seppur ancora in forma teorica). C’è da aggiungere che nella mia vita ci sono state non poche novità ultimamente, una su tutte: da un mese mi sono trasferita a Milano, in vero stile kamikaze: senza (ancora) una casa, senza un lavoro, ma con moltissime idee da mettere in pratica, da subito. Mi sto dedicando molto all’autoformazione e alla formazione, seguirò un bel po’ di bei corsi nei prossimi mesi e mi immergerò in nuove realtà. Insomma sono molto positiva in questo periodo e molto determinata a raggiungere, step by step, i miei risultati.

Confesso di non essere ancora in grado di raccontare di più – un po’ per scaramanzia, un po’ perchè ho bisogno prima di vivere le mie esperienze e poi condividerle – però posso dire di essere felice. Cammino per strada e sono felice, incontro persone nuove e sono felice, sono sola in mezzo a tante novità e sono felice…ah! Il bene che fa vivere in una città che non conosci e che non ha muri crollati e persone che, come te, sono provate dal mondo e dalla vita…ah!

Questo cambiamento nasce come risposta a un’esigenza specifica, proprio quella: essere felice. Me ne frega meno di niente di avere un fidanzato bello e ricco o una vita che fili liscia e senza intoppi (non sarebbe la mia, ovvio), mi importa invece avere la forza di cambiare qualcosa nella mia quotidianità, affinché cambi con lei la percezione della vita stessa. Cambiare la prospettiva e la direzione. Questo passo è stato il mio vero atto di coraggio. Avrei potuto farlo prima? No. Non potevo, altrimenti l’avrei già fatto, ma ora sì. E’ tardi a ventinove anni? Si, forse sì, ma non m’interessa, io non ho mai indossato un orologio in vita mia e il tempo per me potrebbe essere liquido come nei quadri di Dalì, sarebbe lo stesso. Io sono di quelle persone che si perde nel tragitto e vivo al massimo il bello e il brutto di ciò che incontro nel percorso, non sono una maratoneta che punta tutto ad arrivare prima al traguardo.

Il mio traguardo ora è questo: trovare una casa, iniziare i miei corsi, trovare un lavoro che mi faccia vivere tranquilla e scoprire, imparare, stare in silenzio ad ascoltare, sentire profumi peculiari di un posto (anche a Milano si può), scovare luoghi nascosti, conoscere persone nuove, allontanare quelle negative, mettermi in gioco e lanciare in aria i miei cuori e i miei ostacoli. Vivere. Felice. Si può. O comunque l’impegno è totale.

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Lo specchio

Sì, mi ricordo quella parete
nella nostra città rasa al suolo.
Si ergeva fin quasi al sesto piano.
Al quarto c’era uno specchio,
uno specchio assurdo
perché intatto, saldamente fissato.

Non rifletteva più nessuna faccia,
nessuna mano a ravvivare chiome,
nessuna porta dirimpetto,
nulla cui possa darsi il nome
”luogo”.

Era come durante le vacanze –
vi si rispecchiava il cielo vivo,
nubi in corsa nell’aria impetuosa,
polvere di macerie lavata dalla pioggia
lucente, e uccellini in volo, le stelle, il sole all’alba.

E così, come ogni oggetto fatto bene,
funzionava in modo inappuntabile,
con professionale assenza di stupore.

“Basta così” – Wisława Szymborska

Lo specchio

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These boots are made for walking

I miei tredici lettori, che presumo abbiano la loro vita bella impegnata, probabilmente non si saranno accorti che da qualche settimana non ho scritto più nulla nel blog. Capita. Questo è un blog incostante, lo sapete e mi aspetto altrettanta incostanza nella vostra lettura, altrimenti non funzionerebbe il nostro patto. Accade, in questo periodo, che non abbia tempo e propensione al racconto. 5208_1194271615326_3950077_nSto vivendo dei giorni davvero particolari, un po’ ancorati alle celebrazioni del 6 aprile – che per un’aquilana hanno sempre il loro fottuto peso specifico – un po’ perchè mi sono fatta prendere dai miei studi e dai miei lavori e da una quantità pressochè infinita di riflessioni e spunti; molto perchè sto preparando l’ennesimo trasloco della mia vita (no, tranquilli, stavolta non di blog, ma di casa) e i sentimenti in merito sono tanti e constrastati. L’ultima volta che ho traslocato da una mia casa ad un’altra ero scortata dai vigili del fuoco, indossavo un caschetto da lavoro e ho quasi fatto fuori uno dei miei traslocatori, che aprendo il mio frigo (chiuso da due mesi e mezzo, dopo il sisma) per poco non sveniva, intossicato. L’ultima casa che ho definito “casa mia” attualmente è una struttura semiaperta, con l’intonaco esterno scolorito, il portone sfondato, i radiatori divelti, le pareti esplose, i soffitti crepati, il bagno del piano di sopra staccato di tre centimetri dalla camera.5208_1194271655327_5464453_n In quella casa, da quattro anni, ci entrano solo i topi e gli sciacalli ed entrambi per corrodere, rubare e lasciare escrementi. Non ho più definito nulla casa. Dove sono stata fino ad ora era casa di mia madre, quella dove andrò domani sarà casa in centro – perchè sì, nonostante L’Aquila sia ancora immobile nei suoi puntellamenti, e non abbia un vero centro, io torno lì. Vicino dove sono nata, accanto alla strada dove ho percorso i miei primi passi, le prime corse e le mie più rovinose cadute. Torno lì non per restare. So che il mio tempo in questa città scade ogni giorno di più, però ora devo superare questa paura paralizzante e tornare a dormire e improntare una nuova quotidianità tra le pietre vecchie del centro città. Prima di andare via, di trasferirmi altrove – cosa che mi impegno affinché accada presto – devo tornare a fare pace con quelle case, con il fatto di essere una cittadina del centro di L’Aquila.

Avrò un bel panorama e dei bei coinquilini. Avrò un sacco di amici che verranno a trovarci e sì, anche quella lucetta che uso la notte perchè il buio mi fa sempre troppa paura quando sono qui. Ma vado, domani o al massimo dopodomani vado…a riconquistare il centro e a superare le mie paure, che la strada che ho da fare è lunga ed io sono stata rigettata al punto di partenza troppe volte. Ora si va, gambe in spalla, stivali – che-sono-fatti-per-camminare e obiettivi da raggiungere.

Where there’s a will, there’s a way!

Flusso di parole da fine del mondo

Ora: 01.19.
Sono seduta sulla stessa sedia, accanto allo stesso tavolo, nella stessa posizione esatta di quando è finito il mondo.
Nonno mi diceva: ” Quando ero giovane, ho fatto il partigiano. Ho vissuto la guerra e non potevo far altro che fare il partigiano. Avrei potuto fare il fascista, ma quelli avevano distrutto il mio paese e la mia terra, quindi in fine potevo fare solo il partigiano…e andavo per campi a portare il cibo ai combattenti che si nascondevano in montagna…”.
Quando il terremoto ha fatto finire il mondo, io ero seduta proprio in questa sedia, accanto a questo tavolo ed ero proprio nella stessa posizione di ora. Ero giovane, meno di mio nonno all’epoca della sua fine del mondo, ma più di me oggi. Meno di me quando una pirata della strada ha ucciso mio padre – e ha fatto finire il mondo – ma anche meno di me oggi, che aspetto la fine del mondo.
Quella volta che mi hanno fatto l’anestesia generale, diciamo l’ultima…per prendere un esempio, quella volta, per qualche ora è finito il mondo, io non c’ero e quindi il mondo neanche.
Quando sono nata è sicuramente finito il mio mondo fatto di liquido e calore, lì ho pianto, ero saggia, appena nata, sapevo che quel mondo era proprio finito.
Ora che sono qui, seduta-alla-stessa-sedia-accanto-allo-stesso-tavolo-nella-stessa-posizione di quando è finito il mondo mi accorgo che ho sonno, ma non sono stanca. Aspetto la fine del mondo e ho sonno. Non è una pre-anestesia, è solo sonno arretrato.
Io so che la fine del mondo non mi fa paura. Non so quanto sarei pronta ad affrontare un’altra fine del mondo, l’allenamento non manca, ma ci vuole fiato e io non sono mai riuscita a smettere di fumare, ho diminuito, ma non posso proprio smettere, sarebbe un’ulteriore fine di un mondo.
Sono qui: luci accese e iPad sotto le mani, penso alla fine del mondo e a quanto la sua principale qualità stia nel rendere tutti partigiani. Quando finisce il mondo e tu stai lì tra le macerie (reali o metaforiche che siano) c’è poca chiacchiera da fare: pala, piccone, stucco e buona volontà; libri, cultura, conoscenza e consapevolezza; umiltà, partecipazione e indipendenza; idealismo, progettualità e pratica…e tanta, tanta psicoterapia.
Quindi sto ancora due minuti qua e penso alla fine del mondo, finisco la mia ultima cena, da attesa di fine del mondo; fumerei, ma non lo farò, mi sono imposta di non farlo dentro casa, piccole conquiste della consapevolezza: pratica del rigore post fine del mondo.
Sono qua e aspetto il meglio che deve ancora venire, che devo ancora costruire: ambiziosa, consapevole, rediviva partigiana del XXI secolo, post apocalittica, post rock e stasera anche un pò post sbronza.
Brigitte Niedermair

Riassunto autunnale

Eccomi qui! Tornata a scrivere dopo qualche settimana di silenzio stampa, vi avevo avvisato che questo sarebbe stato un blog incostante, quindi nulla di sorprendente al riguardo.
Cosa ho fatto in queste settimane? Qualche giro: Roma, Milano, di nuovo Roma.
Cerco nuovi stimoli e nuovi spunti, cerco di dare una svolta positiva alla mia vita. Voglio trovare una nuova collocazione spazio-temporale, che mi faccia sentire viva e appassionata di quello che andrò a fare e vivere.
Quindi giro, mi faccio ospitare a casa di amiche (Livia, Enrica, Margherita e Sara) per incontrare e conoscere nuove realtà.
Milano in verità è stata una vacanza forzata, mi ammalai – ebbenesì – e quindi sono stata costretta in casa tre giorni, ma ci voleva anche quello: stop per ricaricarsi e ri-ordinare i mille pensieri. A Milano – oltre a incontrare vecchi amici che non vedevo da tanto – con i quali ho passato bei momenti, ho conosciuto – grazie a un nuovo amico di nome Andrea – un posto davvero, davvero speciale: l’ossario della Chiesa di San Bernardino alle ossa.
Non so ancora di chi siano tutte quelle ossa: se dei morti per la peste o dei martiri cristiani, mi informerò bene in merito nei prossimi giorni…quel che è certo è che una volta entrata lì, quell’atmosfera tetra e imponente “mette al propio posto” i visitatori. Tutti i dubbi e i problemi che sembravano enormi, improvvisamente davanti a quelle centinaia e migliaia di ossa e teschi, sembrano impallidire; sembra che quel luogo ti dica: “qui arriverai anche tu, cerca di ricontestualizzare tutto il resto, amica”.
Così è stato. Quel teschio posizionato alla mia altezza (1.60 politico forse non si può definire altezza) sembrava guardarmi e dirmi proprio quello, sono uscita contenta di aver conosciuto questo posto – che tornerò sempre a visitare – e di aver ascoltato il suggerimento dei miei nuovi amici ossuti.

Qualche altra suggestione randomica posso sintetizzarla con un video dei Criminal Jokers, gruppo che ho conosciuto ascoltandoli live al Circolo degli Artisti di Roma (all’interno di La tua fottuta musica alternativa), prima di partire per Milano e che mi hanno molto colpita: giovani, energici e new-wave. Continuo ad ascoltarli no stop mentre sudo e corro, affanandomi sul tapis roulant in palestra (luogo necessario per un buon equilibrio psico-fisico).

Ultimo, ma non per minor importanza aneddoto riguarda il musicista Andrea Nardinocchi.
Lo avevo scoperto qualche mese fa, grazie a un mio amico musicista che lo conosce bene. Mi sono subito innamorata del suo sound – pur non essendo propriamente una fan del rap o R’n’B- e negli ultimi giorni, in virtù di quello che vi anticipavo all’inizio del post, Un posto per me è diventata la mia canzone-mantra.

Milano. Primo giorno che rimetto naso fuori dopo la febbre, stesso giorno dell’ossario, salgo su un taxi, di quelli larghi che hanno nel sedile i mini schermi. Appena mi siedo e dico l’indirizzo di destinazione parte Un posto per me nel nuovo street video. Mi escono due lacrime. Il ragazzo che era con me avrà pensato che sono folle. Ho visto anche quello come un segno. Di cosa non so, ma lo era. Intanto ho scaricato la canzone nel mio iPhone, poi dove mi porterà ascoltarla vedremo. Che il viaggio prosegua…